martedì 17 giugno 2008

20 Mente collettiva

Un esempio dei nuovi paradigmi che possono emergere in questa prospettiva del “fuori controllo” è quello di super-organismo o mente collettiva. Questo concetto si è affermato negli ultimi decenni del secolo e presiede ai modelli proposti da molti scienziati in campi diversi. Tra essi forse il più famoso (tanto da essere divenuto uno standard anche per i telefilm di fantascienza) è il modello di Gaja di Lovelock (Jim E. Lovelock, Gaia, Nuove idee sull'ecologia, 1981, Bollati Boringhieri, Torino).
Una buona descrizione di questo modello è proposta da Kelly (Kevin Kelly, Out of Control, 1996, Apogeo, Milano). E' infatti agevole capire il paradigma seguendo la descrizione che egli fa dell'alveare.
L'idea è quella di considerare l'alveare come un soggetto vivente alla stessa stregua di un toro o un uccello o un uomo. E' difficile immaginare l'alveare come "soggetto", come individuo, poiché noi tendiamo a porre il livello di individualità sulle api, che sono i suoi componenti; ma alcune immagini proposte da Kelly ci possono aiutare. La prima è quella del momento in cui lo sciame delle api decide di cambiare casa ed abbandonare l'alveare in cui ha vissuto fino a quel momento. Allora l'alveare inizia ad agitarsi e a contorcersi, a gemere e a vibrare come se fosse posseduto, come un individuo in preda ad un delirio. Poi la sua bocca si dilata tremando e incomincia a sputar fuori le api. "Un turbinare di piccole volontà, simile ad un fantasma si materializza sopra la scatola dell'alveare. Cresce fino ad essere una piccola nube scura fatta di pura intenzione, opaca di vita. Spinto da un ronzio incredibile lo spirito lentamente si solleva verso il cielo, lasciando dietro di sé la scatola vuota." Citando Rudolf Steiner, Kelly conclude che il tutto assomiglia proprio all'anima umana che lascia il corpo.
Ma la nostra capacità di "vedere" l'organismo collettivo cresce probabilmente se ci capita di avere esperienze come quella che Kelly (apicultore per hobby) ci racconta: "Un autunno ho rimosso un alveare dall'interno di un albero [...]. Gli insetti riempivano una cavità grande quanto me [...] e tutti gli insetti erano in casa [...]. Alla fine sprofondai la mano in quell'agglomerato di favi. Caldissimo! Almeno trentacinque gradi. Sovraffollato da almeno centomila insetti a sangue freddo, l'alveare era diventato un organismo a sangue caldo [...]. Mi sentii nello stomaco come se avessi messo la mano nelle interiora di un animale morente."
Il valore aggiunto di questa visione è lo slittamento del concetto di sistema cibernetico dal controllo razionale (il cogito cartesiano, che noi collochiamo a livello di individuo (umano)) al controllo collettivo.
Da questa prospettiva, non è vero che non c'è più controllo, ma il controllo cambia di livello e noi -individui componenti di una mene collettiva- non possiamo più leggerlo, decodificarlo, governarlo a causa dell'applicazione stessa del teorema di Gödel.L'alveare, lo sciame, lo stormo si comportano in modo cibernetico, ma secondo le tipiche risposte degli organismi all'ambiente: risposte essenzialmente di sopravvivenza, di ricerca del cibo, di riproduzione e di lenta evoluzione

sabato 7 giugno 2008

19 Fuori controllo

Un sistema complesso è tale anche nelle nostre intuizioni quotidiane, spesso perché ci testimonia un certo livello di caos che non riusciamo a dirimere, a ridurre a qualcosa di più semplice e quindi di razionale per i nostri schemi di lettura di esseri umani; l’irriducibile componente del caos, del caso, del disordine è un altro dei punti che l’epistemologia della complessità accetta e valorizza; il caso è divenuto nella scienza contemporanea una dichiarazione di irriducibilità algoritmica.
I sistemi complessi devono essere almeno parzialmente “fuori controllo”, per poter essere intelligenti.
Quella del controllo, infatti, è una delle forme del mito di assolutezza che ha governato il moderno. Uno degli scenari epistemologici del postmoderno è quello della perdita del controllo nei sistemi complessi.
Il moderno credeva fermamente che fosse possibile controllare sistemi economici, sociali, politici. Nel ventesimo secolo eventi storici sconvolgenti ci hanno oramai convinto che i principali sistemi che concretamente interpretano il concetto di complesso (l'economia, la politica, la società, i mass media, Internet) sono più spesso fuori che dentro al controllo dei governi. Anche quando un governo tenta di imporre dei correttivi, essi sembrano interventi tardivi e insufficienti: qualcosa sfugge continuamente e il comportamento collettivo genera continuamente degli imprevisti. Questo per molti costituisce la follia organizzativa dei nostri tempi, la decadenza di una società complessa sull'orlo del collasso.Ma non c'è dubbio che un atteggiamento "pessimista" di fronte a questa realtà è tipico di chi ancora tiene un piede nel moderno. Siamo consapevoli di queste situazioni, ma non riusciamo ad accettarle, a vedervi nulla di positivo

domenica 1 giugno 2008

18 Autopoiesi

Quest’ultima idea di autonomia ha molte versioni nelle diverse scienze cognitive, ma probabilmente la sua interpretazione più famosa e interessante è quella del concetto di autopoiesi nel lavoro di due biologi come Humberto Maturana e Francisco Varela, che nei loro studi sui sistemi biologici viventi anche piuttosto semplici notano la presenza di questa fondamentale ricerca di equilibrio tra apertura (eteronomia) e chiusura (autonomia) e la risolvono proponendo il concetto che i dati ambientali sono sostanzialmente vissuti dal sistema come perturbazioni , intrinsecamente non istruttive: “esse possono innescare, ma non determinare il corso della trasformazione” e quindi la risposta intelligente alla sfida ambientale; cosa determina la trasformazione? le caratteristiche strutturali interne del sistema, che ha variabili e processi che si collegano e si influenzano a vicenda in un complesso meccanismo interno che Varela paragona ad una sorta di bricolage; queste interazioni sono attivate dall’ambiente, ma non determinate direttamente da esso; il loro risultato dipende dalle caratteristiche che risiedono “non già nella natura della perturbazione che le ha innescate, ma nella maniera in cui la struttura [interna del sistema] produce delle compensazioni” che sono effetto del suo paesaggio interno; autopoiesi indica proprio questo: un livello minimo necessario di chiusura che permette la risposta autonoma, pur in un sistema che deve essere aperto