sabato 29 novembre 2008

33 Piccole speranze

Nel post n. 11 dicevo che il dubbio è l’antidoto contro il totalitarismo. Con più dubbi avremmo avuto meno lager e i gulag, meno inquisizioni e roghi. Ma rimaneva il dubbio sul dubbio, ben rappresentato dal commento ricevuto: il dubbio sarà anche un antidoto, ma distrugge, non costruisce. Tra mille dubbi non si combina più nulla. L’onesto metodologo del dubbio non saprebbe scegliere neanche se andare a destra o sinistra la mattina, appena uscito di casa. Il dubbio può essre paralizzante.
Dopo aver letto “Speranze” di Paolo Rossi (Il Mulino, 2008) posso correggere il tiro. Ciò che vaccina contro i Lager è la decisione di abbandonare la convinzione di essere proprietari della Verità con la V maiuscola. Non di grandi speranze, parla Rossi, ma di miti, dubbiose, ragionevoli speranze. Ma pur sempre tali. Il dubbio, in questa prospettiva, non impedisce la decisione, né scolora l’etica. però la presenta non come assoluta, ma locale, discutibile in senso letterale.

lunedì 24 novembre 2008

32 Basilio di Cesarea, non disprezzare la carne che invecchia

In un passo dell’Esameron, Basilio di Cesarea prende il mutare continuo della luna come occasione per riflettere sull’instabilità delle cose umane. Basilio visse nel quarto secolo dopo Cristo. Di lui si racconta che dopo un lungo viaggio presso le comunità ascetiche dell’oriente abbia deciso di regalare tutti i propri beni. Fondò una comunità monastica, organizzò ospizi ed ospedali.
“Così lo spettacolo della luna ci ammaestra sulle nostre condizioni; così, prendendo coscienza della rapida mutevolezza delle cose umane, non insuperbiremo della nostra prosperità, non ci allieteremo del potere, non ci esalteremo della nostra incerta ricchezza, non disprezzeremo la carne soggetta a questi cambiamenti, e ci prenderemo cura dell’anima, il cui bene è immutabile.”(1)
Naturalmente la riflessione sulla mutevolezza e la caducità non è nuova, attraversa tutta il pensiero umano. Sotto questo aspetto, queste parole non sono altro che l’ennesima formulazione del panta rei di Eraclito. Con un richiamo essenziale: “ci prenderemo cura dell’anima, il cui bene è immutabile”.
Ma più di tutto mi ha colpito la frase “non disprezzeremo la carne soggetta a questi cambiamenti”. Ha un valore notevole per la nostra cultura contemporanea, così poco disposta ad accettare l’invecchiamento e l’imbolsimento dei corpi. La chirurgia estetica, gli sport estremi, le automobili potenti: in mille modi cerchiamo di dire a noi stessi che non stiamo invecchiando. Il mito di un’eterna giovinezza è il desiderio tragico dei nostri giorni.

(1) Basilio di Cesarea, Esameron, in Il racconto della letteratura greca IV, a cura di G. Paduano, Zanichelli, Bologna, 1991

mercoledì 19 novembre 2008

31 Il cigno nero

Ho letto Il Cigno Nero di Nocholas Taleb (ed. Saggiatore). È un saggio che parla di come l’improbabile governa il mondo, e viene recensito come testo innovativo sulla teoria della conoscenza e sulle dinamiche dei sistemi complessi. Ma compratelo solo se desiderate farvi qualche risata. È una sequenza di battute divertenti molto british (anche se il suo autore è libanese). Dal punto di vista epistemologico è deludente. Dimostra bene come il nostro mondo sia poco prevedibile, e come le nostre interpretazioni siano dettate solo dal “senno di poi”. Ma, dopo averli più volte promessi, non fornisce i mezzi per affrontare l’imprevedibilità. Com’era prevedibile.

martedì 11 novembre 2008

30 Attacco alla neocorteccia

I meccanismi di cui ho parlato negli ultimi post sembrano indurre nelle società occidentali una crescente fuga dall'uso della razionalità. Con espressione un po’ scherzosa, Armando Massarenti dice che forse si tratta di un “complotto contro la corteccia cerebrale” e la sua utilizzazione, perché forse chi ha interesse a convincere le masse (la politica, la pubblicità) deve cercare di aggirare il pensiero critico.
Nel suo dialogo con Massarenti sui domenicali di marzo 2005 del Sole 24 Ore, Lamberto Maffei (Professore di neurobiologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa e Direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR) elenca alcune strategie che la politica e la pubblicità adottano per operare in questa direzione:
“1) Il messaggio deve arrivare all'interlocutore con la via sensoriale più potente e poiché nel cervello dell'uomo più del 50% dei neuroni risponde allo stimolo visivo non c'è nessuna sorpresa sul grande impatto a livello della comunicazione della televisione. In un mondo di ratti il grande comunicatore avrebbe probabilmente usato l'olfatto per dirigere i consumi dei suoi consimili su certi tipi di formaggio piuttosto che su certi altri.
2) Il messaggio deve trovare vie di ingresso già predisposte nel cervello dell'interlocutore; i messaggi ,fatti passare per le porte della sopravvivenza come sesso e cibo, sono sempre accolti senza proteste come del resto quelli che coinvolgono la sfera delle emozioni.”
Poiché l’ontogenesi ricapitola la filogenesi, la struttura funzionale del nostro cervello in qualche modo ripercorre l’evoluzione della nostra specie: dalle funzioni di base, vegetative, istintuali (che abbiamo in comune con tutti gli esseri vertebrati, ad esempio i rettili), a quelle emotive (che condividiamo con quasi tutti i mammiferi) a quelle più propriamente corticali (tipiche di alcuni primati e tipicamente dell’uomo). Le ultime sono quelle della razionalità e della critica. Chi ha interesse a riportarci al livello dei rettili?

lunedì 10 novembre 2008

29 Tutto si mischia?

Borges, nell'Aleph, racconta il timore che, chiudendo un libro, le parole si mischino tra loro. L’immagine non è solo fortemente poetica: evoca un disagio della nostra civiltà. Quello che ci possa sfuggire il controllo sui significati, che si possano perdere gli strumenti per decifrare la realtà.
Renata Mohlo, giornalista che si occupa di moda e arte, dice che “a furia di scardinare i significati e smontare le frasi per poi rimontarle, rivedere i singoli pezzi separati e ripetuti a vuoto, niente ha più il peso giusto, tutto equivale a tutto e i- simboli, le parole, i fatti, le immagini fluttuano in un limbo gelatinoso, non solo nelle nostre menti, ma intorno a noi. Frammenti di discorsi a un affollato party. Senza più alcun criterio si incrociano, si scontrano, si sovrappongono, si affiancano e si separano, producendo molta confusione. (…) È l'era della sconnessione del non collegamento. E paradossalmente è il frutto dell'eccedenza di comunicazione”.

domenica 9 novembre 2008

28 Semplicità e complessità

L’articolo di Nicholas Carr che ho citato nel post precedente ha scatenato in questi mesi un dibattito ricco di ramificazioni. Una di queste riguarda la complessità.
Mentre la complessità è diventata uno dei pezzi fondamentali del DNA della scienza contemporanea, sembra stare scomparendo nella consapevolezza del vivere quotidiano.
Leggere un libro ci costringe alla fatica, alla concentrazione, alla pazienza. Richiede tempo.
La lettura prevalente di oggi è superficiale, veloce, interrotta continuamente, spesso deviata e deviante, spesso ignara dei contesti e delle ramificazioni che abbiamo percorso.
Ma la complessità è una caratteristica dell’oggetto osservato o del soggetto osservante?
Perché se siamo nel secondo caso, ha ragione chi, come Carr, tira il segnale d’allarme: il nostro cervello, come il nostro linguaggio, si sta pericolosamente semplificando. Ciò non ci rende più capaci, ma più semplicistici, più superficiali. “Una volta –dice Carr- facevo il sub in un mare di parole. Adesso surfo la superficie.”
Ma se siamo nel primo dei due casi (la complessità è una caratteristica dell’oggetto osservato), potrebbe darsi che il nostro nuovo modo di muoverci tra i link sia un buon nuovo modo di rispondere alla sfida della complessità.

28 Semplicità e complessità

L’articolo di Nicholas Carr che ho citato nel post precedente ha scatenato in questi mesi un dibattito ricco di ramificazioni. Una di queste riguarda la complessità.
Mentre la complessità è diventata uno dei pezzi fondamentali del DNA della scienza contemporanea, sembra stare scomparendo nella consapevolezza del vivere quotidiano.
Leggere un libro ci costringe alla fatica, alla concentrazione, alla pazienza. Richiede tempo.
La lettura prevalente di oggi è superficiale, veloce, interrotta continuamente, spesso deviata e deviante, spesso ignara dei contesti e delle ramificazioni che abbiamo percorso.
Ma la complessità è una caratteristica dell’oggetto osservato o del soggetto osservante?
Perché se siamo nel secondo caso, ha ragione chi, come Carr, tira il segnale d’allarme: il nostro cervello, come il nostro linguaggio, si sta pericolosamente semplificando. Ciò non ci rende più capaci, ma più semplicistici, più superficiali. “Una volta –dice Carr- facevo il sub in un mare di parole. Adesso surfo la superficie.”
Ma se siamo nel primo dei due casi (la complessità è una caratteristica dell’oggetto osservato), potrebbe darsi che il nostro nuovo modo di muoverci tra i link sia un buon nuovo modo di rispondere alla sfida della complessità.

martedì 4 novembre 2008

27 Internet ci rende stupidi?

C’è più di una connessione tra la questione della complessità e le riflessioni su come funziona il cervello umano. Una di queste sta generando un dibattito interessante sui collegamenti tra il nostro cervello e l’uso di tecnologie nate relativamente da poco, come internet e i telefonini.
“Is Google making us stupid?” è il titolo di un bell’articolo di Nicholas Carr apparso su The Atlantic, rivista da consigliare. Ne ho parlato un po’ nel blog dedicato alle reti del capitale umano.
Lì ricordavo, ad esempio, come gli ipertesti ci stiano abituando a saltare da un rimando a una altro in una sorta di parossismo che forse distrugge l’attenzione. Anche i banner e i pop-up distolgono continuamente la nostra focalizzazione. In generale, la potenza dello scritto si sostituisce alla potenza del lettore. E così diminuisce al nostra capacità di concentrarci e di focalizzare l’attenzione. La velocità e brevità dei testi stanno cambiando (e molti dicono demolendo) il linguaggio della scrittura. Google o Wikipedia ci fanno risparmiare un sacco di tempo, ma sono un po’ come delle autostrade tutte in galleria: ci portano velocemente a destinazione, ma ci fanno perdere completamente il senso del territorio, il senso di orientamento, la consapevolezza di dove ci troviamo rispetto a ciò che c’è intorno. Nel suo articolo, Carr guarda a se stesso e si accorge di avere perso la capacità di concentrarsi, la pazienza, la determinazione che richiedono, ad esempio, la lettura di un testo lungo e complesso o la ricerca di un’informazione in modo approfondito e affidabile.
Probabilmente tutto questo sta accadendo. Stiamo perdendo certe capacità. Ma abbiamo guadagnato la disponibilità enorme e immediata di informazioni. E, se siamo capaci, abbiamo ampliato enormemente il nostro potenziale di rapporti.

domenica 2 novembre 2008

26 Costruttivismo

Sulla stessa scia, ma in una posizione ancora più radicale, si colloca l'altro grande epistemologo contemporaneo, Thomas Kuhn, il quale ci fa notare che una nuova spiegazione si afferma (grazie ad una "rivoluzione scientifica" che scardina la spiegazione precedente) perché appare più convincente, perché ottiene più consenso nella comunità scientifica.

Sia che ci si muova nella prospettiva neopositivistica di Popper, sia in quella post-positivistica di Kuhn, una convinzione l'abbiamo raggiunta: abbiamo sostituto la tradizionale visione della scienza che scopre, con la visione della scienza che inventa: la nostra conoscenza non è più una rappresentazione della realtà, ma una progettazione, un costrutto che genera ipotesi e leggi scientifiche la cui validità è legata (sia nella prospettiva razionalista di Popper, sia in quella consensualistica di Kuhn) al fatto di essere "adatte" di altre, in un vero senso evoluzionista.

Conoscere non è dunque scoprire, ma progettare, non esplorare, ma costruire universi.

A questo punto, non dobbiamo però credere che il progettista di cui stiamo parlando sia soltanto qualche straordinario scienziato. Progettista è l'osservatore del mondo. E, dunque, progettisti siamo noi tutti, tutti gli uomini che quotidianamente hanno a che fare con la complessità del loro mondo, con la complessità di lavorare, di crescere i propri figli, di distinguere il bene dal male, di prendere decisioni per il futuro.