Noi pensiamo non solo con la mente, ma con tutto il corpo. E pensiamo in un certo modo perché il nostro corpo è fatto in un certo modo. E i nostri pensieri sono diversi a seconda degli stati del nostro corpo.
L’embodied mind è un concetto dell’embodied philosophy (Mark Johnson, Gorge Lakoff, Mark Turner, Rafael E. Núñez e altri), che afferma che il nostro modo di pensare può essere pienamente capito solo tenendo conto di come esso risieda e sia influenzato dalle strutture del nostro corpo, così come esso è stato plasmato dall’evoluzione e così come oggi lavora in ognuno di noi.
Le cose che noi pensiamo e il modo in cui le pensiamo, ad esempio, sono determinate fortemente dalle nostre strutture percettive (il fatto che abbiamo due occhi frontali, o un pollice opponibile): pensate alle immagini mentali, al linguaggio dei segni, alla percezione dei colori, alla visione prospettica, alle metafore che usiamo nel parlare, ecc.
Dice Johnson (1999) che l’embodied philosophy è in grado di mostrare come le leggi del pensiero siano metaforiche, non logiche; la verità è quindi piuttosto una costruzione metaforica, non un attributo della realtà obiettiva.
Le conseguenze di questo pensiero sono enormi. Facciamo solo due esempi:
L’idea di verità costruita è il contrario del fondamentalismo. L’etica che ne nasce è quella che ricerca continuamente le possibilità del dialogo tra le diversità nel reciproco rispetto.
Se il mio modo di pensare dipende dal modo di vivere e di muoversi del mio corpo, può darsi che pensare camminando generi idee diverse dal pensare stando seduti. È evidente che queste riflessioni generano idee nuove (o forse vecchissime: Aristotele teneva le sue lezioni passeggiando nel giardino della sua scuola ad Atene) in merito all’organizzazione dei nostri sistemi di apprendimento, ai nostri modi di fare formazione.
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3 commenti:
vorrei incontrarvi x commentare i testi
Risposta ad anonimo del 11 marzo 08: OK, ma lascia un tuo recapito.
Grazie
Ciao
In un suo viaggio nel Nuovo Messico, Karl Gustav Jung incontrò un capo degli indiani Pueblos, che così parlò: "Vedi, i bianchi vogliono sempre qualcosa, sono sempre scontenti, irrequieti. Noi non sappiamo cosa vogliono. Non riusciamo a capirli. Pensiamo che sono pazzi."
Jung chiese a questo capo perché‚ mai pensasse che i bianchi fossero tutti pazzi e l'indiano gli rispose:
"Dicono di pensare con la testa! Noi pensiamo con il cuore."
E Jung conclude:
"Mi immersi in una lunga meditazione. Per la prima volta nella mia vita, così mi sembrava, qualcuno mi aveva tratteggiato l'immagine del vero uomo bianco. Era come se, fino a quel momento, non avessi visto altro che stampe colorate, abbellite dal sentimento. Quell'indiano aveva centrato il nostro "punto debole". Aveva svelato una verità, alla quale siamo ciechi."
Margherita
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