venerdì 11 aprile 2008

12 IL SELVAGGIO E L’ESPLORATORE

E mentre questo scarto fortissimo di prospettiva accadeva in filosofia, con Heisenberg entravamo in pieno nella scienza post-moderna.
L'idea centrale della scienza moderna era infatti molto diversa e poggiava sulla certezza che vi fosse la possibilità di osservare il mondo da un punto di vista distaccato, asettico. Lo scienziato conduce un esperimento, osserva l'oggetto del suo esperimento senza influenzarlo e senza esserne influenzato. Lo scienziato è neutrale. L'esperimento "parla" in modo oggettivo e questo linguaggio oggettivo, inequivocabile, delle cose è perfettamente formalizzabile dalla matematica.
Gli studiosi delle discipline umanistiche, invece, si erano accorti da tempo che le cose non potevano andare così nel loro caso: lo psicologo con il suo paziente, l'antropologo con la sua tribù, il sociologo con la sua società non riuscivano a garantire questa asetticità, questa separatezza tra osservatore ed osservato, questa certezza matematica. E infatti, in piena sbornia razionalista e modernista, la sociologia nacque nel Settecento (con A. Comte, che non fu certo il primo sociologo, ma certo il primo ad autodefinirsi tale, identificando una disciplina autonoma) con un vero e proprio "complesso di inferiorità" nei confronti di quelle branche della conoscenza che i positivisti esaltavano come "scienze esatte": la fisica (specialmente la meccanica), la biologia, la chimica, la matematica, e così via. La rappresentazione più potente di questa idea di scienza moderna "esatta" era senz'altro la teoria di Newton, con la sua eleganza onnicomprensiva.
Ma, col tempo, quel complesso di inferiorità è divenuto consapevolezza della diversità e occasione positiva di elaborazione di metodi di intervento che facessero i conti con il circolo ermeneutico. Prendiamo il caso dell'antropologia culturale, cioè di quella disciplina che studia le culture dei vari gruppi umani; essa iniziò a studiare le caratteristiche fisiche e organiche dei vari gruppi razziali (oggi questi studi vengono prevalentemente indicati con il termine di "antropologia fisica"); sviluppò poi tutta una branca che si occupava dello studio dei fenomeni sociali e culturali delle popolazioni primitive (oggi questi studi vngono spesso distinti con il termine di etnologia); più di recente essa ha allargato il campo della suua indagine fino a comprendere lo studio di tutti i fenomeni culturali (riti, miti, simboli, tabù, ecc.) di un gruppo umano, sia esso una popolazione o un quartiere o una squadra di calcio o un'azienda. Il sistema di indagine dell'altropologia è tipicamente basato sulla presenza dello scienziato all'interno della popolazione che osserva. Ma fu chiaro fin da subito che questa sua presenza non poteva garantire l'asetticità dell'osservazione. Nel momento stesso in cui il nostro antico antropologo atterrava con il suo aereo mono-elica tra i membri di una tribù della giungla del Borneo, ne scendeva vestito di tutto punto, e magari si acendeva una sigaretta, egli aveva già di fatto e irrimediabilmente cambiato quella tribù: il soggetto dell'osservazione aveva modificato l'oggetto, in modo irreversibile. Così, l'antropologia culturale imparò a tenere conto di questa prospettiva che integrava lo scienziato nella società e cultura sociale oggetto della sua osservazione ed elaborò metodi di ricerca specifici, come ad esempio quello basato sul concetto di osservazione partecipante, poi esportato in tutte le discipline umanistiche. Un altro caso importante è rappresentato dalla psicanalisi, che fondò tutta la propria forza nell'intepretazione del linguaggio (la medicina delle parole). L'inconscio è parola, ci ha dimostrato Freud, l'Es parla ("ça parle") ci ha detto Lacan. Dal canto suo, tra le altre cose è interessante notare come la sociologia abbia spostato progressivamente il suo tiro dal calcolo di certezza al calcolo di probabilità.

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