lunedì 28 aprile 2008

14 Il paradosso dei confini

Lo stesso concetto di sistema è relativo; i suoi confini rispetto all'ambiente sono sempre arbitrari, tracciati simbolicamente dall'osservatore.
È un concetto ben noto. Ovunque si tracci un confine (geografico, sociale, economico, concettuale) le popolazioni prossime al confine stesso sono in situazioni di discontinuità paradossale. Un altoatesino si sente (ed è) assai più prossimo ad un austriaco che a un siciliano. La definizione delle aree a declino industriale per i finanziamenti europei ha creato paradossi dei confini come questo: un’azienda che ha la propria sede sul lato sinistro di un Corso Regina Margherita a Torino può accedere ai finanziamenti e il suo dirimpettaio del lato destro (distante pochi metri e in tutto e per tutto simile) no.
Ma la sua conseguenza più innovativa dell’affermare la relatività dei confini è legata al fatto che la "chiusura" sistemica diviene almeno altrettanto importante dell' "apertura" del sistema, perché è sinonimo della sua identità. Dopo anni di prediche ed enfasi sull’importanza dell’apertura all’ambiente, l’epistemologia delle scienze umane comincia a recuperare il valore di un certo grado di chiusura. Come individuo in un gruppo o come sistema in un sovra-sistema io ho bisogno di un certo livello di confine, di chiusura per non perdere la mia identità, per affermare un mio “io”.
Si noterà che in questa prospettiva emerge la differenza, che riprenderò, tra chiusura (positiva) e isolamento (negativo). Ciò contro cui ha combattuto l’approccio sistemico in sociologia e psicologia è l’isolamento, non la chiusura.

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